Dietrich Schröder, abiti a Frankfurt Oder, il capoluogo di provincia più a est della Germania. Basta attraversare un ponte e dall’altra parte del fiume inizia la Polonia. Sei nato in Turingia nella Repubblica Democratica Tedesca, hai studiato giornalismo a Lipsia e nel 1986 hai trascorsi un semestre nell’Unione Sovietica, quando era già in corso la Perestroika. Dopo la Riunificazione hai diretto la redazione locale del più grande giornale del Brandeburgo, il “Märkische Oder Zeitung”. Ti sei occupato di rapporti Germania-Polonia e in generale di politica estera soprattutto di est Europa. Il 9 novembre saranno 35 anni dalla caduta del muro. La festa ufficiale della riunificazione in realtà è il 3 di ottobre. Forse perché il 9 novembre sarebbe stata una data infelice, essendo l’anniversario della notte dei cristalli?
Il 9 novembre 1918 c’è stata anche la repressione della rivoluzione di operai e soldati insorti contro il Kaiser. Helmut Kohl pragmaticamente ha pensato che all’inizio di ottobre il tempo sarebbe stato migliore che in novembre per festeggiare con musica birra e Bretzel, con miriadi di Oktoberfest. Ma il 7 ottobre era il giorno della Repubblica della DDR meglio evitare, quindi si è deciso il 3 di ottobre.
Tu come hai festeggiato il 3 di ottobre quest’anno?
Sono stato nel bosco a raccogliere funghi.
E come festeggerai il 9 novembre?
Andrò a fare gli auguri a un mio caro amico che in quel giorno ha il suo compleanno.
Vuoi dire che c’è poco da festeggiare pubblicamente? Il sociologo Steffen Mau scrive che un muro fantasma attraversa la Germania… Esiste ancora la Germania dell’est oppure è diventato un mero concetto geografico?
Anche 35 anni dopo la caduta del muro nell’est della Germania molti si sentono “tedeschi di seconda classe”. Soprattutto per i salari inferiori, ma anche perché diverse posizioni apicali, non importa se nelle imprese, all’università o nella politica, sono occupate da tedeschi dell’ovest. Noi tedeschi dell’est concepiamo la vita in modo diverso, abbiamo nella testa altre idee. Il riunificarsi insieme ha portato discussioni e conflitti, causato ferite e incomprensioni, ma dobbiamo trovare un modo di stare insieme e la Germania è quasi un laboratorio per l’Europa, per la reciproca comprensione. Non è facile, ma è avvincente.
In settembre ci sono state le elezioni prima in Sassonia e in Turingia, poi in Brandeburgo. In Sassonia la CDU ha vinto per poco prima di Alternative für Deutschland (AFD, 30,6%). Il partito di estrema destra è diventato invece il primo partito in Turingia (32,8%). Nel tuo Brandeburgo ha preso il 29,2% e il Partito socialdemocratico ce l’ha fatta per poco.
Gli elettori dell’AFD hanno pensato: «Le politica si deve occupare di noi prima di supportare i profughi». Per questo nell’est della Germania sono più numerosi gli elettori della AFD rispetto all’ovest, ma è solo una questione di tempo. L’AFD nei sondaggi è il secondo partito in tutta la Germania dopo la CDU/CSU. Molti elettori del Brandenburgo il 22 settembre non hanno voluto che diventasse anche qui come in Turingia il primo partito e per questo hanno votato per ragioni tattiche per la Spd, che governa dal 1990 il Brandeburgo. La Germania dal 2015 è il Paese dell’Unione Europea che ha accolto il maggior numero di profughi e richiedenti asilo. Ma anche qui il clima è cambiato. A causa dei comportamenti delinquenziali di alcune frange di profughi, e perché le scuole e gli altri servizi fanno fatica a lavorare per l’integrazione, mentre sempre più soldi vengono spesi per i sussidi sociali ai richiedenti protezione internazionale. Quel che mi preoccupa è la tendenza dei giovani elettori fra i 16 e i 24 anni a preferire la AFD, che ha ottenuto meno voti dagli over 60.
Come spieghi questo favore dei più giovani?
Le soluzioni semplici per affrontare problemi complessi, propagate soprattutto sui social, molto frequentati dai giovani, evidentemente piacciono. Come l’idea della “reemigrazione” degli stranieri. In tutti i Paesi dell’Europa negli ultimi anni è aumentata l’ostilità nei confronti dei migranti. Poco importa se in Italia, in Austria, in Olanda, Ungheria o Svezia. Ovunque governano partiti che non vogliono cittadini di altre culture. Gli elettori di questi partiti brandiscono la paura dell’invasione e la perdita della propria identità nazionale.
In queste elezioni a parte la xenofobia che ruolo ha avuto la politica estera?
Da poco abbiamo il Bündnis Sahra Wagenknecht (BSW), fondato da una fuoriuscita dai Linke –, che ha ottenuto molti voti, in Sassonia quasi il 16%, grazie alla richiesta di trattative con la Russia che pongano fine in tempi brevi alla guerra in Ucraina. Questa richiesta è condivisa da molti tedeschi dell’est. Nei tre Land per formare una coalizione di governo non di destra c’è bisogno del sostegno del BSW, e non è un caso se non si è ancora riusciti a formare un governo in tutti e tre i Land. Forse nel Brandenburgo si sta formando una coalizione fra BSW e SPD.
Tu hai lavorato per anni a favore dell’amicizia fra la Germania e la Polonia. Tua nonna ha sempre detto, i polacchi ci hanno portato via la casa. Dopo aver imparato il polacco sei andato in Polonia a vedere la casa di tua nonna, e l’anziana signora che l’abitava ti ha detto che i russi, o meglio gli ucraini le avevano portato via la sua di casa. Come vedi la guerra in Ucraina e il ruolo della Germania?
Sono sposato da 40 anni con una russa, che ho conosciuto nel 1986 durante un semestre di studio a Mosca. Mi aveva detto: «Mia madre da bambina ha visto con i suoi occhi come durante la seconda guerra mondiale suo padre è stato accoltellato da un soldato finlandese al servizio della Wehrmacht». Ed ecco che la sua unica figlia le ha portato in casa il suo innamorato tedesco. Guadagnarsi la sua fiducia è stata una strada tortuosa da percorrere. E adesso quello che trovo scioccante fra l’Ucraina e la Russia è questo solco profondo pieno di diffidenza e odio che la guerra ha scavato, e più dura il conflitto e più sarà difficile superarlo. Noi tedeschi sappiamo meglio degli altri, com’è difficile dopo una guerra riconciliarsi con gli altri popoli. La riunificazione tedesca è stata una grande fortuna. Quella divisione è scaturita da una guerra mondiale, è stata la conseguenza dei crimini commessi dai tedeschi. E la nuova Germania unita si era riproposta di avere buoni rapporti con i vicini e per nessuna ragione iniziare delle guerre. Vecchi politici come Helmut Schmidt o Helmut Kohl, che hanno vissuto la guerra, hanno aspirato ad avere rapporti sensati anche con la Russia, e in effetti la Germania aveva sviluppato relazioni speciali. Ma non sono state sfruttate sufficientemente. La Germania avrebbe potuto fare di più per evitare questo conflitto.
Pensi che i leader politici tedeschi non siano stati all’altezza del compito che gli veniva posto riguardo al mantenimento della pace?
Angela Merkel dopo il 2014 ha cercato di fare molto. Ha lavorato agli accordi di Minsk, è andata in Russia come in Ucraina e persino da Lukashenko per mediare. Era anche contraria al fatto che l’Ucraina entrasse a far parte della Nato e lo ha dichiarato al vertice di Bucarest del 2016. È stata la sola fra i politici occidentali a vedere la dimensione del legame fra Russia e Ucraina. Anche a me è stato sempre chiaro questo legame a partire dal piano personale, dalle tante famiglie russo-ucraine. A Mosca c’è la grandiosa stazione del Metrò Kievskaja, un vero palazzo sotterraneo. A Kiev c’è la chiesa russa-ortodossa. Nell’Ovest avrebbero dovuto capire che non è possibile separare nettamente l’Ucraina dalla Russia. E l’idea che in Crimea nel porto militare di Sebastopoli potessero attraccare portaerei americane, che lì ci potesse essere una base militare Nato questo non poteva che essere inaccettabile per i russi, che nel porto di Sebastopoli vedevano un punto strategico, che domina il Mar Nero. Lì c’erano portaerei e navi russe. Non era compatibile la presenza di navi americane, non poteva funzionare. I politici occidentali avrebbero dovuto riconoscere che per i russi una linea rossa era stata valicata. Angela Merkel lo aveva visto, anche se lei stessa era delusa che Putin le desse poco retta, forse perché lui aveva capito che Merkel non riusciva ad ottenere molto dagli alleati occidentali.
Quando pensi che l’occidente abbia imboccato una strada senza uscita?
Nel 2021 per la prima volta l’esercito ucraino ha preso parte a esercitazione della Nato in Ucraina. Certo si può dire che l’Ucraina è libera di decidere se voler far parte della Nato e dell’Unione Europea. Ma si sarebbe dovuto vedere la cosa anche dal punto di vista politico della Russia, e farsi venire in mente qualcosa di meglio che spendere tutti questi miliardi per le armi e per accogliere i profughi ucraini. Sarebbe stato meglio investirli nella comprensione fra i popoli, per fondare comuni università che so io cos’altro. Invece è scoppiata questa inarrestabile follia, mentre risuona l’argomento altrettanto folle: la Russia deve subire una sconfitta in Ucraina, per impedirgli di aggredire altri paesi.
Sul sito del Governo federale vengono menzionati in modo trasparente i costi per l’addestramento militare dei soldati ucraini ed elencati i materiali bellici. È una lista da capogiro. Anche l’export di armi verso Israele secondo il Ministero degli esteri tedesco prosegue, solo da agosto per un valore di 94 milioni di Euro. Come ti senti a leggere tali bollettini?
Se si consegnano le armi all’Ucraina, si dovrebbero almeno con altrettanta solerzia cercare una mediazione diplomatica con la Russia. E questo vale anche per Israele. C’è sempre questo riconoscimento dello Stato, la giusta condanna all’attacco di Hamas. D’altra parte in nome di quel crimine vengono sterminati 40 mila civili palestinesi e oltre. È qualcosa che non si può fare. Israele vuole far vedere ai suoi vicini la sua forza militare, farsi valere come il più forte. Non si combatte un’ingiustizia provocando ingiustizie ancora più grandi. Quante inutili carneficine!
- Antonella Romeo. Giornalista professionista indipendente, ha lavorato per testate come “Società Civile”, “Il Corriere della Sera”, “Il Manifesto”, “L’Europeo”, “Die Zeit”, “Spiegel Spezial”, “Weltwoche”, “Domani” e con la radio pubblica tedesca WDR; occupandosi principalmente di politica italiana, della memoria storica della Germania e dell’Italia, di immigrazione e dei temi legati al “vivere altrove”. Nel 2004 ha pubblicato in lingua tedesca, per l’editore Hoffmann und Campe, il libro La deutsche Vita, uscito in Italia nel 2007 con Edizioni SEB27.